giovedì 28 febbraio 2013


 II Settimana del Tempo di Quaresima

 

Ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti 


 Giovedì 28 febbraio - Sant’Ilario, Papa

Dal Vangelo secondo Luca  (Lc 16,19-31)

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”». 


 Spunto di meditazione e di preghiera personale:
 
Questa parabola, molto famosa, detta "del ricco epulone e di Lazzaro", può essere letta ed interpretata a vari livelli.
Rimanendo su quello più immediato, Gesù affronta il dramma dell'ottusità e dell'egoismo che intorpidiscono il cuore e chiudono gli occhi di fronte ai fratelli, agli altri esseri umani. L'abbondanza di beni materiali, che di per sé non è un peccato, può rappresentare una terribile arma a doppio taglio, perché diviene occasione di peccato, nella vita di quest'uomo benestante. E si tratta fondamentalmente del peccato di omissione, il più insidioso.
Il peccato di quest'uomo è la sua indifferenza a tutto quello che va oltre il suo ventre, egli perde il contatto con la realtà circostante per isolarsi in un mondo del tutto individuale, dove il suo io (l’ego), alimentato dal benessere e dalla ricchezza, finisce per essere soffocato dall'avarizia, dal piacere del possesso fine a se stesso. Non di rado chi vive così finisce per essere totalmente schiavo della necessità di apparire a tutti i costi, di sfoggiare la propria autosufficienza attraverso la ricchezza e l'opulenza, che quindi diventano l’archetipo di vita.
Gli altri non possono far parte di questa realtà, finiscono per essere puri intrusi, fastidiosi pesi da schivare: se si vive così, si perdono di vista il mondo, l’interazione e la possibilità di aiuto ai fratelli; si finisce per curare solo il proprio corpo ed i propri desideri carnali; non c’è più Dio nell'orizzonte... spariscono  preghiera, attenzione all'altro, sensibilità, dono, gratuità, amore.
La parabola evidenzia poi che su una vita vissuta così c'è un giudizio pesante, o - se vogliamo - un tirare le ovvie conseguenze da parte di Dio: Abramo, padre dei credenti, accoglie il povero Lazzaro (il cui nome, "colui che è assistito da Dio", suonerebbe come un'atroce beffa, se tutto finisse con la morte) svelandone la beatitudine; per il ricco, rimane solo la disperazione che nasce dalla constatazione di aver fallito una vita intera nell'illusione.
Ecco quindi la necessità di un cambio epocale: la Quaresima è un tempo propizio per fare gesti concreti di distacco da ciò che è bene solo terreno e illusoria soddisfazione, perché non 'passa' - non 'fa Pasqua' - nella nuova creazione.
Questi gesti possono far cadere quelle 'bende' che offuscano la nostra vista ed il nostro cuore, per tornare a vedere ciò che è veramente degno di considerazione: chi ha bisogno del nostro aiuto, chi vive nell'indigenza, chi è "altro da noi". Solo così potremo tornare alla vita, alla gioia del donare, alla gioia di sentirci finalmente più veri per aver colmato quella distanza tra noi e il prossimo con un abbraccio fraterno di accoglienza e amore.


mercoledì 27 febbraio 2013



 II Settimana del Tempo di Quaresima


Lo condanneranno a morte



 Mercoledì 27 febbraio - S. Giuliano di Alessandria, martire (III° sec.)

 Dal vangelo secondo Matteo (Mt 20,17-28)

In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà».
Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
 

Spunto di meditazione e di preghiera personale:

Gesù continua a preparare i Suoi discepoli agli ultimi giorni della Sua vita terrena e spiega - qui, secondo i Vangeli, per la terza volta - con precisione cosa succederà; ma in realtà non sembra che gli apostoli lo comprendano, come era spesso accaduto in precedenza. Essi fino all'ultimo rimarranno increduli sulla Sua sorte, sperando anche loro che Gesù si ribelli a questa piega apparentemente assurda che le cose hanno preso, che “mostri i muscoli” e vinca la Sua battaglia come un vero condottiero.
Ma Gesù, che ha ben chiara la sostanza della Sua chiamata a testimoniare fino in fondo la Sua fedeltà al Padre, è quasi crudo nel descrivere minuziosamente il suo martirio di Passione e morte in Croce, aggiungendo però che il terzo giorno dopo la morte sarebbe risorto.
Gli apostoli lo amano, sono anni che lo seguono, hanno lasciato tutto per Lui: famiglie, lavoro, amici... come possono perdere ora il loro amico e maestro, il Messia, ora che l’hanno trovato? Ma tra l’incredulità e l'incomprensione generale, ecco che spunta un atteggiamento tipico dell’umana natura: la mamma di due apostoli (Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo), si avvicina per chiedere a Gesù di associarli a Lui per condividere ai suoi due figli la Sua stessa sorte ed addirittura di farli sedere con Lui in gloria, uno alla Sua destra ed uno alla Sua sinistra. Appare ovvio che ella non ha affatto capito che dovrebbero condividere la morte in Croce,  che sarà la vera gloria di Gesù. Quale madre chiederebbe la morte infame dei propri figli, seppur per portarli nella gloria eterna?
In realtà, ella pensa che Gesù, come un grande condottiero li fa sedere al Suo fianco, nel Suo regno (ma del tutto terreno!). Gesù infatti rivolto apertamente ai due giovani, che presumibilmente sono i "mandanti", dice: “Ma vi rendete conto di quello che mi chiedete? E vostra madre se ne rende conto? Sapete cosa significa bere del mio stesso calice?” Ovviamente non lo sanno, non se ne rendono conto e nemmeno gli altri apostoli lo comprendono, tanto è vero che fanno quasi a gara perché il posto d’onore alla Sua destra spetti ad uno di loro. Lo abbiamo già visto nel Vangelo di ieri, gli uomini cadono nel desiderio e nell'aspirazione di primeggiare, di partecipare alla gloria di Dio, ma i loro sentimenti sono legati al bisogno dell’apparire, del dominare, molto terreni e per nulla soprannaturali.
Gesù allora ancora una volta ricorda - a tutti, non solo ai due fratelli -  che Lui è venuto per servire e non per essere servito, per offrire la Sua vita come dono per la liberazione dei fratelli: quello che lui offre è il "segno dell’ultimo", di colui che è pronto ad essere umiliato ed ucciso per gli altri, per la loro salvezza.
In questo momento, Giacomo e Giovanni dimostrano di non essere in sintonia con Gesù, di essere ancora tutti presi da cose vane. Ciononostante, verrà il giorno in cui i due ambiziosi fratelli daranno la loro vita, come Cristo, per testimoniare la Verità: nel loro desiderio "fuori bersaglio" c'è comunque qualcosa di buono, che Gesù porterà a compimento.
Gesù ci dice che se vogliamo essere con Lui, dobbiamo essere pronti a bere nel Suo calice,  prendere ogni giorno la nostra croce e sopportarne il peso, fino a cadere, fino all'ultima energia che ci rimane, facendoci ultimi tra gli uomini e mettendo la nostra vita al servizio degli altri fratelli, in nome di quell'Amore infinito che il Padre ci ha donato con il Figlio e che continua a donarci ogni giorno della nostra vita con la Sua infinita misericordia.

martedì 26 febbraio 2013



II Settimana del Tempo di Quaresima


Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo 


Martedì 26 febbraio - Sant’Alessandro, Vescovo Patriarca di Alessandria (313 - 328)
 

 Dal Vangelo secondo Matteo  ( Mt 23,1-12)

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».


Spunto di meditazione e di preghiera personale:
 
Ancora molto vicino ai giorni nostri il Vangelo di oggi. Perché tocca un "punto caldo" di sempre: il senso dell'autorità spirituale, che può diventare potere.
Gesù affronta il problema di una categoria speciale di "potenti" dei suoi tempi, coloro   che detenevano appunto il potere spirituale, attraverso il controllo dell'interpretazione della Legge consegnata da Dio a Mosè.
Gesù non li critica in modo distruttivo, anzi dice a tutti: "rispettateli perché essi sono i custodi della Legge mosaica e rispettate ciò che dicono"; ma aggiunge: "non seguite però il loro esempio, perché essi dicono ma non fanno". Queste persone, con tutta la loro sapienza e supponenza, ostentano opere, azioni, si dichiarano maestri degli altri, si sono seduti sui gradini più alti dell'insegnamento e del mantenimento delle tradizioni, ma il loro comportamento in realtà non corrisponde alle cose che dicono e che dovrebbero rispettare per primi.
In loro, dice il Figlio di Dio - unico vero “Maestro”-, non c’è semplicemente una contraddizione tra il dire e il fare dovuta all'umana fragilità, c'è una malattia molto più profonda. Nei loro cuori non c'è traccia di Dio, del rispetto e dell'adesione alla Sua Parola, ma solo la volontà di mettersi in mostra, di cercare di emergere. C'è l'ego, ancora una volta...
Gesù lascia un’altro messaggio ai Suoi discepoli: li esorta a non farsi chiamare maestri, perché di maestro ce n'è uno solo; a non auto-glorificarsi mai, ma restare umili e ricordarsi che ognuno di loro dovrebbe rimanere sempre presente a se stesso ed al Signore, nel servizio e disponibilità ai fratelli.
Lui stesso era venuto al mondo per servire e non per essere servito: questa sarà anche la risposta che Gesù darà a Pilato quando gli chiederà se lui è davvero Re, sarà pronto a non operare “miracoli” per salvarsi ma a lasciare che gli uomini lo mettano in Croce, si donerà completamente ai Suoi fratelli per la loro salvezza.
L'unica autorevolezza è quella dell'Amore, e il pensiero non può non andare, leggendo queste righe del Vangelo, allo stesso Amore che in questi giorni ci insegna Benedetto XVI, sull'esempio di Gesù... lui l’uomo capo della Chiesa di Dio sulla Terra, l’uomo che siede sulla cattedra di Pietro, l’uomo che veste di bianco e che riassume in sé tutta l'autorità soprannaturale della Chiesa,  sceglie di rimettere tutto questo nelle mani di Dio e di rientrare nel silenzio della preghiera e del servizio più umile e 'oscuro' ai suoi fratelli. Un atto di umiltà e di Amore, il dono della rinuncia in vista di un bene più grande che lui misteriosamente intravede, il ritorno ad essere servo e non maestro, coerentemente con quanto annunciato fin dall'inizio del Suo pontificato... Ecco davvero un uomo che compie l'insegnamento evangelico, un umile lavoratore nella vigna del Signore!

domenica 24 febbraio 2013



II Settimana del Tempo di Quaresima


Perdonate e sarete perdonati



Lunedì 25 febbraio - S. Gerlando, Vescovo


Dal Vangelo secondo Luca  (Lc 6,36-38)

 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati.
Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».


Spunto di meditazione e di preghiera personale:

Un Vangelo ancora una volta molto attuale, quello di Luca, che propone la "sua" versione del Discorso della montagna di Matteo.
Gesù predica la Buona Novella, l’avvento di un 'uomo nuovo', perché nuovo è il rapporto della persona umana con Dio. Lo stesso Dio, come abbiamo visto nei giorni scorsi anche con l’insegnamento della preghiera del “Padre  Nostro”, non appare più, com'era invece nell'esperienza veterotestamentaria, un Dio che - nonostante il Suo farsi presente nella storia di Israele - rimane in definitiva lontano, assolutamente trascendente, un Creatore onnipotente che risiede "nei cieli dei cieli"; ma è un Dio con noi e per noi (come in Cielo, così in terra).
Lui, come ogni buon padre, si propone di educare, di formare i propri figli, con una cura che passa attraverso il dono di una vita esemplare (quella del Figlio) ma che si traduce anche in un nuovo insegnamento: amatevi come io vi ho amato, ama il prossimo tuo come te stesso...
Qui Gesù ci dice che Lui si aspetta che noi sappiamo cogliere la sovrabbondanza della misericordia divina come il metro di misura che Lui ci chiede nei confronti del nostro prossimo, dei nostri fratelli.
Proteso verso il Suo prossimo sacrificio per il perdono dei nostri peccati, Gesù ci dice che tutte le nostre colpe verranno perdonate (e trasferisce ai discepoli la possibilità di farlo, a nome Suo!) nella misura in cui noi ci apriremo ad un'eguale ampiezza di accoglienza del fratello, di benevolenza verso le sue fragilità, di com-passione verso il suo male.
L'atto di giustizia più vero che noi possiamo fare, quindi, è il perdono, la misericordia, che attesta al mondo la vera identità del nostro Padre Celeste, per cui noi per primi diventiamo fedeli testimoni della misericordia ricevuta, prova vivente del fatto che con noi Dio non ha operato secondo la giustizia retributiva (che pure ha un suo valore importante nella Creazione), ma secondo la sovrabbondanza del perdono.
E’ il senso di gratitudine per tutto ciò che abbiamo ricevuto che si deve sviluppare, e la nostra capacità di ringraziamento, ogni giorno, per quanto riceviamo.
Siamo capaci di perdonare? Siamo capaci di non emettere giudizi frettolosi sul nostro prossimo, sui colleghi di lavoro, sui nostri amici, sui nostri familiari, soprattutto su chi ci è nemico? Ci ricordiamo sempre del: “chi è senza peccato scagli la prima pietra?”, siamo capaci di perdonare anche chi ci ha fatto del male? Quali fatti portano il segno della nostra disponibilità attiva alla misericordia? 
Preghiamo il Signore perché la Sua parola ci conforti e ci sostenga in questo difficile rapporto quotidiano con noi stessi e con gli altri, ricordandoci sempre quanto sia grande il Suo amore per noi e quanto questo amore illumini i nostri cuori per essere capaci di superare i nostri egoismi e individualismi, per essere pronti a donare lo stesso amore e perdono ai nostri fratelli!


 







Domenica della II settimana di Quaresima

E' bello per noi stare qui




Domenica 24 febbraio –  II Domenica di Quaresima   



Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,28-36)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.






Spunto di riflessione e di preghiera personale:

L'episodio della 'trasfigurazione' irrompe nel cammino quaresimale, subito dopo il racconto delle tentazioni nel deserto (I Domenica). Il contrasto tra le due scene è abbagliante.
Il Tabor - monte su cui si colloca l'evento  odierno in virtù di una tradizione attestata già nel IV secolo - rappresenta il "positivo", la stampa a colori, di quel "negativo" che è il Golgota.
La pellicola fotografica ormai è scomparsa dal nostro corredo, ma quasi tutti ci ricordiamo di aver avuto tra le mani un negativo fotografico... colori distorti, forme irriconoscibili, qualcosa di brutto davvero... e poi ... il 'miracolo' della foto stampata, dove tutto ritorna a posto, tutto ridiventa armonico, in una parola (che è poi quella che usa Pietro) BELLO. Per questo il Prefazio dell'Eucaristia ci ricorderà che non c'è un monte senza l'altro, non c'è risurrezione senza passione!
Nel dialogo con l'A. T. (la Legge e i Profeti), Gesù anticipa appunto la Passione, quell'esodo (come lo chiama Luca) in cui condurrà nella Sua carne l'umanità alla vita celeste, a quella trasfigurazione definitiva e non reversibile che inizia in Lui, nel Suo dialogo d'amore col Padre, e a Lui approda come orizzonte ultimo dell'esistenza. Questi tre apostoli - Pietro, Giacomo e Giovanni: spesso Gesù ha riservato dei gesti esclusivamente a loro - rimangono i soli testimoni di questo momento straordinario, avranno per sempre negli occhi la gloria, il fulgore della visione della vera identità di Gesù, sebbene poi cadano anch'essi per la loro fragilità. Ma questa è stata definitivamente "fecondata" dalla Visione.
Golgota... Tabor... nel primo la Bellezza è nascosta sotto le forme dell'Uomo dei Dolori, del Servo di Jahwheh, colui che come pecora muta si è lasciato portare al macello per la salvezza di Israele (Is 53,7). Qui, la Bellezza della divinità è evidente, viene in primo piano, per un attimo "buca" il velo dell'umanità di Gesù. E si pone come il vero approdo della nostra ricerca: qui vogliamo stare, qui desideriamo fermarci, Signore! Perché ne avvertiamo tutta la profonda connaturalità con ogni nostro desiderio più vero, con ogni nostra più genuina attesa.




sabato 23 febbraio 2013



 
Sabato della I settimana di Quaresima


Siate perfetti come il Padre vostro celeste



Sabato 23 febbraio – S. Policarpo, Vescovo e martire (I-II sec.) 



Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,43-48)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: "Amerai il tuo prossimo" e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 

Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 

Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».



Spunto di riflessione e di preghiera personale:

Il Vangelo di oggi ci porta sulla vetta più alta dell'insegnamento di Gesù, nel cuore del "Discorso della montagna" (Mt 5-7), il quale poi rappresenta - per così dire - la "carta di identità" dell'uomo nuovo che Cristo inaugura nella Sua persona.
La persona umana è "nuova" - a differenza di tanti altri modelli fallimentari sbandierati dai tanti falsi Messia della storia - in quanto innestata in una nuova creazione, di cui Gesù è la primizia.
In Lui diventa possibile, per la grazia dello Spirito Santo, l'amore senza limiti, l'amore che oltrepassa anche i limiti della barriera 'naturale' più invalicabile: il nemico.
Se il nemico è amato, non è più nemico, cambia tutto perché cambia la relazione. Si tratta, come Gesù rammenta, di qualcosa di "stra-ordinario", che eccede l'ordinario... nell'ordinarietà, odio chiama odio, rancore chiama rancore, male chiama vendetta: è tutto banalmente scontato.
Di fronte a questa parola del Signore possiamo riconoscere la nostra fondamentale libertà, non siamo condannati al vuoto che lasciano dentro il rancore, la rabbia, l'odio: c'è una 'ricompensa' che è la libertà di amare già contenuta nell'atto di amore gratuito.
Proprio questo Vangelo contribuisce a riscattare la parola "amore" da quel limbo sentimentale ed emotivo in cui il nostro tempo l'ha rinchiusa, depotenziandola e impoverendola, addirittura favorendo fraintendimenti drammatici: agàpe - i cristiani diventarono anche plasmatori di terminologia nuova, per indicare la forza originale dell'esperienza vissuta nella risurrezione - esprime tutta la forza del gesto di spalancare le braccia sulla croce per trasmettere a noi, uccisori del Giusto che non ricambia il male col male, che non giudica, che usa a tutti benevolenza, la Vita fino all'ultima stilla.

venerdì 22 febbraio 2013



 

I Settimana di Quaresima

 


Tu sei Pietro, e a te darò le chiavi del regno dei cieli



Venerdì 22 Febbraio - Cattedra di San Pietro Apostolo

 

Vangelo secondo Matteo (Mt 16,13-19)  

 

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». 

Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 

E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».



Spunto di meditazione e preghiera personale:


La Chiesa celebra la festa della Cattedra di San Pietro, nella quale fa memoriale del dono e della potestà concessi da Gesù a Pietro e ai suoi successori, i Papi, di proporre una dottrina ferma e sicura, per confermare nella fede i fratelli. Si tratta di una tradizione molto antica, attestata a Roma sin dai primi secoli, con la quale si rende grazie a Dio per questa missione affidata all'apostolo Pietro e ai suoi successori.

La “cattedra” di per sé è il seggio fisso del Vescovo, posto nella Chiesa Madre di una Diocesi (a Roma, nella Basilica di San Giovanni in Laterano), che per questo viene detta “cattedrale”. Essa è il segno visibile dell’autorità del Vescovo e, in particolare, della sua potestà di magistero, cioè di insegnare nella piena fedeltà a Cristo e al Vangelo; potestà che egli - in quanto successore degli Apostoli e fruitore di una particolare grazia e garanzia dello Spirito, sacramentalmente connessa all'episcopato -  è chiamato a custodire e trasmettere, in unione con Pietro, alla comunità cristiana.
Appunto da questo significato di cattedra viene l'espressione latina ex cathedra (Petri), per indicare l'infallibilità pontificia, quando il Santo Padre, Vescovo di Roma, parla come dottore universale in materia di fede o morale.

In questo momento storico così particolare, la Liturgia ci offre – appunto con la festa della Cattedra di S. Pietro - l’opportunità di riflettere (secondo le parole stesse di Gesù) come il primato di Pietro sia un primato non di potere ma di Grazia, fondato non in ragioni umane (la carne e il sangue) ma in una conoscenza soprannaturale, celeste, del mistero di Cristo.

            Il popolo d’Israele aspettava il Messia secondo una certa lettura delle profezie veterotestamentarie e sicuramente attendeva un secondo Mosè, un condottiero, un trascinatore di popolo che li riscattasse dal dominio romano e ristabilisse i principi dell’alleanza che Dio aveva fatto con il suo popolo: in certo qual modo, per loro, un Dio che potremmo definire esclusivo ed esclusivista.

        Gesù invece giunge in sordina: nasce in una stalla in un piccolo paese della Galilea: niente squilli di trombe, truppe o nobili, la Sua predicazione è rivolta al riscatto degli ultimi, degli emarginati, dei dimenticati dagli uomini, non da Dio. E a modo Suo, comunque, seppur in gran silenzio, Gesù scardina ogni concetto di grandezza umana ed inaugura una stagione nuova fatta di Amore verso Dio, verso i fratelli, verso noi stessi, verso la Sua persona. In vista di questo "salto di qualità" interroga i suoi più diretti discepoli: ma voi che mi state accanto avete capito chi sono? Chi pensate che Io sia? Anche voi vi aspettate un profeta come gli antichi? Un condottiero? Un predicatore? O mi avete realmente riconosciuto?
         E Simon Pietro, questa volta senza esitazione, ma con la fede dell’uomo in cui ha operato lo Spirito, gli dice: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio Vivente”.

 


mercoledì 20 febbraio 2013



I Settimana del Tempo di Quaresima 


Chiedete e vi sarà dato



 Giovedì 21 febbraio - S. Pier Damiani, Vescovo e dottore della Chiesa

 Dal Vangelo secondo Matteo  (Mt 7,7-12)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.
Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».

Spunto di meditazione e preghiera personale:

Gesù ci insegna a chiedere, ci esorta a cercare... Perché?  Perché questo atto umile implica l'uscire dall'autosufficienza, dalla pretesa orgogliosa di bastare a noi stessi, per fare scoperte straordinarie. Noi non possiamo bastare a noi stessi, non siamo un 'sistema chiuso', autosufficiente, anche se spesso viviamo esattamente così (o perlomeno aspiriamo a questo). Cercare fuori di noi, bussare alla porta del cuore di Dio, significa aprirsi ad una relazione unica e fondante. Per scoprire cosa? Che la realtà dura e sassosa che abbiamo spesso tra le mani, la vita che pare quasi sempre 'pietrosa' nella sue molteplici difficoltà e nei suoi dolori, in realtà è pane che arriva dalla mano paterna di Dio. Sembra una pietra immangiabile, ma accolta dalla mano del Padre 'miracolosamente' diventa pane fragrante. La vita, la nostra storia personale e quella del mondo intorno a noi, non è una serpe infida ed insidiosa che ci sguscia tra le mani per morderci a tradimento (come pure non di rado pensiamo), è cibo buono, quel cibo semplice (pane, pesce), familiare, ordinario, che per dei pescatori del Mare di Galilea è il segno della provvidenza quotidiana di Dio.
Per questo dobbiamo imparare a pregare con vera fiducia ed abbandono, affidandoci al Padre; dobbiamo imparare a chiedere a Lui, implorare il dono della Fede e della Speranza, che sono due virtù 'teologali', soprannaturali. Il Padre ci ama tutti, l’importante è aprirsi al Suo Amore, essere capaci di mettersi in contatto con Lui: con amore si può ottenere solo amore, il salario dell'amore è l'amore.
Questa esperienza dell'amore del Padre, aggiunge Gesù, ci fa immediatamente riconoscere di avere fratelli: "fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi", è questa la Buona Novella, puro amore per Dio, nostro Padre,  quindi vero amore per se stessi e per tutti i nostri fratelli. Usciamo in questa Quaresima incontro a questo Padre affettuoso e sempre pronto ad accoglierci, a perdonarci, ad ascoltarci, ad aiutarci, a gioire, a consolarci... ad amarci!






 I Settimana del Tempo di Quaresima

Nìnive,Salomone e la regina di Saba


Mercoledì 20 febbraio - Ss. Eleuterio e Leone, Vescovi

Dal Vangelo secondo Luca  (Lc 11,29-32)

In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire:
«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione.
Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone.
Nel giorno del  giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».

Spunto di meditazione e preghiera personale:

Gesù durante la Sua predicazione vive momenti come questo, in cui è attorniato dalla folla ma non fa nulla per "aumentare il consenso", anzi...  infatti, come spesso avviene, molti sono lì per curiosità, con lo spirito di  assistere ad uno spettacolo, o perché si aspettano che il Messia, tanto atteso, si manifesti con dei segni miracolosi, straordinari.
Gesù allora si rivolge loro così come ha fatto con i farisei, con gli scribi, ma anche con i posseduti: con autorità e santa indignazione. Utilizza in questo caso non una metafora, ma una serie di eventi, di fatti ripresi dall'A. T., mostrando come i pagani, i duri di cuore e di intelletto per definizione, i "lontani", si convertono molto prima di coloro che avrebbero di per sé più titoli per farlo.
Ecco allora che riporta l'esempio del profeta Giona, tratto dall'omonimo libro, uno tra i tra i più belli e paradossali dell'A. T.
Giona, unico personaggio ebreo del libro profetico (tutti gli altri sono pagani), mandato a convertire i pagani di Nìnive (gli Assiri, tra i peggiori nemici di Israele), è l'unico che alla fine... non si converte! E' lui solo che fa fatica fino all'ultimo ad accogliere lo sguardo misericordioso e benevolo di Dio sulla realtà, sui peccatori. Infatti, i Niniviti, stimolati dallo stesso Giona a fare penitenza , suscitarono la pietà di Dio che li perdonò per la loro conversione salvandoli dal castigo promesso, mentre Giona rimarrà chiuso nei suoi schemi mentali, nei suoi giudizi.
Così come poi fa riferimento al fatto della visita a Gerusalemme della Regina di Saba (la Regina del Sud) giunta per conoscere il grande Re Salomone, la potenza di Israele e la gloria di Dio, dicendo che essa stessa (una pagana convertita) il giorno del giudizio si sarebbe levata a testimone contro i loro cuori così duri.
Gesù ci dice con questi esempi che la salvezza è a portata di mano per tutti, anche per chi viene da lontano ed è estraneo per nascita e cultura alla rivelazione fatta dal Dio di Israele, perché il messaggio che Lui porta è un messaggio di Amore universale, divino, aperto a tutti:  tutti gli uomini sono uguali di fronte all'iniziativa piena di misericordia di Dio, hanno in Gesù un fratello maggiore e in Lui sono tutti fratelli, basta aprirsi nella fede, nell'accoglienza della Parola.
Come sarà poi nel dialogo con S.Tommaso dopo la resurrezione, Gesù ci dice che non c’è bisogno di mettere il “dito nella piaga” per credere: “Beati coloro che crederanno senza aver visto”. L’Amore è l’unico segno che il Figlio dell’Uomo ci dona ed è l’unico segno che può cambiare in un attimo la nostra vita!




martedì 19 febbraio 2013


  

I Settimana di Quaresima

 

 Voi dunque pregate così...

 


Martedì 19 febbraio – San Mansueto, Vescovo
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 6, 7-15)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».


Spunto di meditazione e di preghiera personale:

Gesù ci dona, in questo Vangelo di Matteo, la “Preghiera” al Padre: Dio non è più invocato come Signore e come l’Onnipotente creatore, che rischia comunque - anche se la tradizione di Israele ha sempre annunciato un Dio molto presente nella storia; così presente, per esempio, da stendere il Suo braccio per combattere accanto al Suo popolo - di apparire un Dio lontano da noi, irraggiungibile nei Suoi cieli, a cui al massimo si può arrivare in modo mediato tramite il sacrificio di animali o addirittura di uomini (questo è l'uso dei Cananei, riprovato dal Dio di Israele, non senza però aver obbligato prima Abramo ed Isacco a confrontarsi con questa tragica visione dell'atto di culto). Dio in realtà non ci mette alla prova - conosce benissimo 'di che pasta' siamo fatti, cosa c'è dentro di noi ... siamo noi che non lo sappiamo! - ma piuttosto entra in un dialogo profondo e anche difficile con noi, affinché scopriamo che ci ama tutti perché tutti siamo Suoi figli.
Quel gap, quella distanza che ancora in qualche modo separava Dio e l'uomo nella rivelazione veterotestamentaria  (in cui YHWH è per definizione "santo", kadosh, "separato" dal nostro mondo, dalle creature... è "totalmente Altro") viene annullata, superata, per l'iniziativa di Dio stesso: “sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra”, le cose accadono in maniera speculare sia in cielo, sia in terra.
Scopriamo quindi che Dio non sta milioni di anni luce da noi in un punto non ben identificato dell’universo, ma che è estremamente vicino, "uno di noi e con noi", come ci ha ricordato il Natale. Egli, facendosi presente su quest'atomo insignificante che è la Terra, ha assunto in sé tutta la creazione e nella Sua pasqua ne ha avviato la definitiva trasfigurazione.
Dio si rivela come puro Amore fuori e dentro di noi, infinitamente 'piccolo', al punto tale da assumere, come dice S. Paolo, nel Suo Verbo la "forma di Servo", da diventare vulnerabile e fragile per essere accolto nei nostri cuori; ma anche infinitamente grande, di quella grandezza che è la pienezza della Vita che non finisce.
Gesù inoltre qui ci insegna a rivolgerci a Lui come 'Padre': quindi ci inserisce, attraverso il Suo sacrificio  sulla croce, come un fratello maggiore generoso e sapiente, in un rapporto straordinario che non è (più) esclusivo! Dio non è solo il Padre di Gesù, ma è il Padre di tutti noi. E nell'invocarlo come Padre scopriamo tutta l’intensità dell’amore e della fede... Dio ci conosce tutti, siamo tutti suoi figli e nelle parole di Gesù, nostro fratello, scopriamo che è il Padre di tutti, il Padre Nostro!
E nel chiedere perdono, con la prieghiera che Gesù stesso ci ha insegnato e lasciato in eredità, abbandoniamoci alla Sua infinita misericordia paterna che ci accompagnerà in ogni istante della nostra vita terrena ed ultraterrena, come veri Figli del Padre.


domenica 17 febbraio 2013




I Settimana di Quaresima

 


Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me

 

 

 

Lunedì 18 febbraio – Beato Giovanni da Fiesole, detto Angelico,
 sacerdote Domenicano
 
Dal vangelo secondo Matteo (Mt 25,31-46)


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

 

Spunto di meditazione e di preghiera personale


Il Vangelo di oggi è un brano molto famoso, che colpisce l'attenzione. E per certi versi sorprendente.
Siamo di fronte ad una scena di giudizio finale, in cui ci sono diversi soggetti: fondamentalmente, Gesù glorificato, pienamente rivelato nel mistero della Sua identità attraverso o segni della passione e della risurrezione (indicato con la perifrasi "Figlio dell'uomo seduto sul trono della sua gloria"), e tre gruppi di persone. Due  di questi rappresentano i "popoli" (la parola nel testo indica le Gentes, i pagani) e un terzo gruppo sono i (misteriosi!) "fratelli più piccoli" del Figlio dell'uomo.
I pagani, non tutti gli uomini... Gesù quindi rivela ai suoi discepoli con che 'metro di misura' giudicherà i pagani, tutti coloro che non l'hanno mai incontrato, mai hanno avuto modo di sentir parlare di Lui... la stragrande maggioranza degli esseri umani apparsi dall'inizio a oggi sulla terra! Del resto, già più volte aveva detto espressamente ai suoi discepoli che loro sarebbero stati chiamati a rispondere del loro amore per Dio e il prossimo...
Anche i pagani, ci dice Gesù sorprendentemente, saranno messi di fronte all'amore dato o negato a Dio e al prossimo, come noi del resto, perché Gesù in certo qual modo era 'presente' nei suoi fratelli più piccoli, che sono evidentemente gli ultimi della terra: i miserabili, gli ammalati, i carcerati, gli stranieri. 

[Che significa, concretamente? Che un certo Li Wang, mendicante del II sec. a. C. in uno sperduto paesino della Cina della Dinastia Han (il Sig. Mario Rossi, della porta accanto nella periferia metropolitana, dei nostri tempi), scoprirà nel Giorno Ultimo che: 1) tutto il suo dolore e la sua miseria, le sue lacrime e la sua fame non sono stati una beffa crudele del destino: c'è un Regno preparato da sempre; 2) nella sua carne sofferente e bistrattata di mendicante era misteriosamente presente Uno che nella carne ha vinto la morte; 3) che lui, ultimo nella considerazione di tutti, entra con Cristo nella gloria e quindi non è giudicato, ma è metro di giudizio per i suoi compaesani!] 

Dio è Amore e Gesù in questo Vangelo ci  dice che tutta la creazione trova la sua salvezza o perdizione nella relazione più o meno autentica con questo Amore. Tutta. Nessuno escluso.
Il rapporto con Dio Padre, come ci ha mostrato il Vangelo di ieri, è fondamentale e fondante. Ma non può finire tutto nelle viscere del nostro ego: la preghiera, la meditazione, il ritiro sono necessari all'uomo per riscoprirsi figli vicino al Padre, per far sì che il nostro rapporto con Lui sia unico ed indissolubile. Ma oggi ci dice qualcosa di più grande: l’amore al prossimo "fa la differenza", discerne ... da una parte o dall'altra, non ci sono vie di mezzo.
Non a caso avrebbe annunciato ai suoi discepoli, nell'ultima Cena, un comandamento nuovo “Amatevi gli uni gli altri, come Io vi Ho amato”. Gesù in qualità di Figlio è nostro fratello, siamo fratelli in Lui, e ci esorta a riconoscerci tra di noi come tali e ad agire di conseguenza. Noi siamo parte di Lui e Lui in noi: perciò ci insegnerà a spezzare il Pane insieme nel Suo nome, ma ci rammenta che da questo non può non nascere la condivisione, il soccorso, l’aiuto nelle difficoltà. Ci si riconosce famiglia non solo nei momenti positivi, ma anche e soprattutto nel bisogno. Ecco quindi che nel nostro quotidiano la genuinità e l'autenticità del nostro atto di dare spazio alla preghiera, alla relazione con Dio Padre nel Figlio (atto intimo e personale), si misura fondamentalmente nella carità (atto visibile e riconoscibile), nel concreto aiuto e sostegno dato ai nostri fratelli, nell'amore del Padre.